Parliamoci chiaro: oggi tutti parlano di “data-driven”, ma pochi si chiedono se i dati su cui basano le proprie scelte siano davvero affidabili.
E lo so per esperienza diretta: lavorando come data analyst ho avuto a che fare con tanti dati (davvero TANTI), e la frase “eh ma tanto i dati sono quelli che abbiamo” è un mantra che ho sentito ripetere più volte di quanto sia salutare.
Il punto, però, è che i dati “che abbiamo” possono essere rumorosi, incoerenti, duplicati, incompleti. In una parola: inutilizzabili. O peggio, fuorvianti.
E il risultato? Strategie che vanno fuori strada, investimenti su clienti fantasma, performance che sembrano calare… quando in realtà sono solo mal misurate.
Qui entra in gioco una disciplina spesso sottovalutata, ma assolutamente cruciale: il Data Quality Management.
Cos’è (davvero) il Data Quality Management?
Semplificando: è il processo con cui ci assicuriamo che i dati che usiamo per analizzare, decidere, pianificare siano affidabili, coerenti e aggiornati. Non è un “lusso da grandi aziende”, ma una vera necessità operativa per qualsiasi realtà, anche piccola.
Significa mettere ordine dove c’è confusione:
- evitare duplicati (hai mai visto un cliente chiamato “Tizio Caio Srl” e un altro “Tizio Caio S.r.l.? ecco, questo è un duplicato)
- controllare che i valori siano validi (niente date del futuro, nel passato o codici fiscali mancanti),
- verificare che le informazioni siano complete,
- garantire coerenza tra sistemi diversi.
Sembra banale? Ti assicuro che non lo è, altrimenti tutti i database avrebbero i dati perfetti.
E invece…
Quando la qualità dei dati si trasforma in caos (e costi)
Ti racconto un caso vero – vissuto in prima persona.
Un’azienda alimentare italiana aveva un sistema di calcolo delle commissioni per i commerciali. In teoria tutto perfetto: ogni Capo Area aveva assegnata la sua area geografica di riferimento, ogni Capo Area Cliente i suoi clienti all’interno di quest’area. In pratica? Un disastro.
Succedeva che:
- Alcuni commerciali comparivano in entrambe le tabelle.
- Alcuni clienti non erano assegnati a nessuno.
- Alcuni commerciali erano Capo area di una zona, ma avevano clienti nella zona di un altro Capo Area.
- Conclusione: Le commissioni venivano assegnate due volte. O, peggio ancora, a nessuno.
Il risultato? Che il responsabile passa 2 ore al telefono con uno dei commerciali, che era “leggermente alterato” dopo aver visto sparire metà delle sue commissioni.
Commissioni che erano state gonfiate per anni, e a cui lui (e tutti gli altri commerciali) si erano abituati.
Una giungla di proteste, pagamenti sbagliati, riunioni infinite per capire dove fosse l’errore. Il problema non era il gestionale, né il team commerciale. Era il dato: frammentato, ambiguo, gestito in modo incoerente.
E qui, un intervento di Data Quality Management ha fatto la differenza.
Power BI e la qualità dei dati: alleati, non solo visual
Power BI viene spesso venduto come uno strumento di visualizzazione, ma è molto più di questo. Per noi data analyst, è anche (e soprattutto) una centrale operativa per la pulizia e la gestione dei dati.
Ti faccio qualche esempio pratico:
- Individuazione di duplicati: con Power Query, possiamo isolare righe identiche (o quasi) che creano confusione nei report.
- Campi mancanti o anomali: possiamo evidenziare in rosso clienti senza partita IVA, ordini senza importo, date palesemente sbagliate e così via.
- Matching tra fonti diverse: se un cliente è in due database con nomi leggermente diversi, Power BI ci aiuta a capire che è la stessa azienda.
Non solo: possiamo costruire dashboard di controllo qualità, aggiornate in tempo reale, per monitorare la salute dei dati aziendali. E impostare alert automatici se qualcosa non torna (ad esempio, se il numero di ordini scende sotto un certo valore… forse perché c’è un errore nella registrazione).
Insomma: Power BI non è solo il vestito elegante dei dati. È anche il pettine, la doccia e il barbiere.
I numeri parlano chiaro: la scarsa qualità dei dati costa (e tanto)
Secondo un report del Data Warehousing Institute, i problemi legati alla qualità dei dati costano alle aziende statunitensi oltre 600 miliardi di dollari ogni anno. E no, non è un problema “solo americano”: vale ovunque si usino dati senza sapere bene come sono stati raccolti o gestiti.
Un altro studio, stavolta di Gartner, indica che il 40% delle iniziative aziendali fallisce o si blocca per via di dati di scarsa qualità.
Tradotto: puoi avere il CRM più avanzato, il gestionale più potente, il team più motivato. Ma se i dati sono sbagliati, tutto il resto traballa.
Data Quality: non è (solo) roba da IT
Uno degli errori più comuni? Pensare che la qualità dei dati sia “un problema tecnico”.
Spoiler: non lo è.
È un problema culturale, organizzativo, trasversale. Serve coinvolgere chi inserisce i dati, chi li legge, chi li usa per decidere. Serve fare formazione, creare processi condivisi, e soprattutto… fare domande.
Domande tipo:
- Da dove arriva questo dato?
- Chi lo aggiorna?
- Come lo aggiorna?
- È affidabile?
- Perché in questo report il totale non torna?
Chi è il responsabile della qualità dei dati?
Domanda apparentemente semplice, ma con una risposta spesso nebulosa.
Chi dovrebbe occuparsi del Data Quality Management in azienda? L’IT? Il team amministrativo? Il marketing? La risposta corretta è: tutti quelli che usano o toccano i dati, anche solo di passaggio.
Troppo spesso si pensa che la responsabilità sia del reparto informatico, ma nella pratica quotidiana, chi genera il dato (inserendolo, ad esempio, nel CRM o nel gestionale) ha un impatto diretto sulla sua qualità.
Se un agente commerciale inserisce un nuovo cliente senza compilare correttamente il campo “Partita IVA”, il dato nasce già monco. Se poi il back office lo copia e incolla in un altro sistema, quell’errore si replica come un virus, fino a finire nei report trimestrali.
Questo è il motivo per cui il Data Quality Management deve diventare una responsabilità condivisa, e non il problema di qualcun altro.
Il paradosso dei dati inutilizzati
Un altro punto che vale la pena toccare è il cosiddetto “data graveyard”: tutte quelle informazioni che vengono raccolte e archiviate… ma mai usate.
Hai mai sentito dire: “abbiamo milioni di righe di dati”? Bene. Ma a cosa servono, se nessuno li interroga, li analizza, li pulisce o li comprende?
Secondo Forrester, tra il 60% e l’80% dei dati aziendali viene archiviato ma non è mai utilizzato a fini decisionali. Una miniera d’oro che nessuno sfrutta, spesso proprio perché quei dati sono sporchi, frammentati o troppo difficili da leggere.
Il Data Quality Management, in questo senso, è anche uno strumento di valorizzazione: ti permette di riaprire quei cassetti pieni di informazioni e trasformarle in insight utili, in azioni concrete, in scelte più intelligenti.
Come iniziare a fare (bene) Data Quality Management
Senza troppa filosofia, ti lascio una mini-checklist pratica:
- Mappa i flussi di dati → chi inserisce cosa, come, dove, e perché
- Stabilisci standard chiari → ad esempio: la data va sempre in formato gg/mm/aaaa
- Controlla i dati con strumenti come Power BI → non solo dashboard “belle”, ma anche intelligenti
- Crea alert per intercettare errori in tempo reale → oppure stabilisci un controllo regolare sulla qualità dei dati, anche solo una volta al mese è molto meglio di mai
- Chiedi il parere delle persone → spesso gli errori nascono all’inserimento, perché chi se ne occupa non capisce le procedure o le trova inutilmente complesse: aiutali ad aiutarti, rendi il loro lavoro più semplice e loro faranno altrettanto per te!
- Forma le persone → chi lavora sui dati deve sapere quanto (e perché) è importante trattarli bene
E se migliorare la qualità dei dati diventasse anche un risparmio?
Parliamoci chiaro: quando si parla di dati, si pensa spesso in termini di “investimento”. Ma la realtà è che un buon sistema di Data Quality porta anche risparmi concreti.
- Meno errori di fatturazione
- Meno ore spese a correggere file Excel
- Meno commissioni sbagliate
- Meno tempo perso a capire “dove si è rotto il dato”
Tutte voci di costo che, sommate, pesano sul bilancio molto più di quanto ci si aspetti. E spesso bastano azioni semplici e continuative – come la checklist che hai letto prima – per rimettere tutto in carreggiata.
Conclusione: se vuoi fidarti dei tuoi numeri, inizia a fidarti dei tuoi dati
La gestione della qualità dei dati non è una moda. È una necessità. E per le PMI italiane, è anche un vantaggio competitivo non da poco: se tutti “navigano a vista”, chi ha i dati giusti ha la bussola.
Inizia da qui: una revisione della qualità dei tuoi dati, uno sguardo critico ai processi, e uno strumento solido come Power BI per mettere ordine dove ora c’è confusione.
Se vuoi capire come applicare il Data Quality Management nella tua azienda e come Power BI può aiutarti a farlo, contattaci su Kerners.co: la prima consulenza è gratuita. E fidati: è un buon punto da cui cominciare.